Il terzo  articolo sul tema della condivisione arriva da un sardo di  София, un “cittadino del Mondo”, un amico , un affine ,un viaggiatore instancabile dalla curiosità insaziabile : Stefano Carta !

Amico di Assistenti Sociali Online, ha conosciuto una di noi per caso più di dieci anni fa e, sempre per caso, almeno una volta all’anno incontri improbabili in terra sarda tengono impiedi una amicizia improvvisata e surreale , che si è fortificata , manco a dirlo …condividendo!  Condividendo dalle esperienze più assurde e divertenti come bere cocktails sul lungo Poetto in pigiama alle confidenze intime, profonde ed estemporanee degne di un rapporto fraterno!

Stefano è la personificazione dell’aforisma di  Friedrich Nietzsche che recita:  “tutti i più grandi pensieri sono concepiti mentre si cammina” e il suo blog  Il nuovo Faust. La vita è un’avventura ne è la dimostrazione !

Portandoci a spasso, in questo articolo, e nei luoghi incontrati nel corso dei  suoi viaggi ed avventure ci racconta con uno “guardo migrante”,  in modo semplice e diretto un pezzo del suo cammino nel Mondo, spiegando cosa significa  “condivisione” per chi come lui  ama varcare i confini , geografici , relazionali e …temporali portando con sè un pezzo di ciascun luogo, umanità e storia incontrati !

Mettetevi comodi, lasciatevi trasportare e  …buon viaggio nella Condivisione!

Condividersi con il Mondo

«La felicità è reale solo quando è condivisa.»
Chriss McCandless – “Into the Wild”

Ho sempre considerato la condivisione come un atto dove una persona mette in comune con gli altri un qualcosa di materiale ma anche di spirituale. Direi che essa sia un tentativo di raccontare se stessi agli altri, facendoli sentire partecipi della propria vita.
Non siete d’accordo?

Provate ad immaginare, allora, di trovarvi in un aeroporto. Tra le tante facce che vedrete in attesa di un volo o di un parente in arrivo, noterete una persona assorta in profonda meditazione e circondata da un incredibile numero di valigie. Ecco, quello sono io o, perlomeno, ero io due anni fa, quando mi catapultai in un paese estero, attirato da una chiamata di lavoro. Ora provate ad immaginare che cosa può desiderare di fare una persona che arriva in un posto sconosciuto e dove si parla una lingua sconosciuta. Tolte le fasi iniziali di spaesamento e di panico (che possono durare giorni o settimane), tolte le beghe burocratiche… quella persona cercherà di parlare, di comunicare con qualcuno, di condividere qualcosa.

Poche cose sono però difficili come il tentare di manifestare i propri stati d’animo a qualcuno che non può parlare la tua lingua. Ancora più difficile è il doverlo fare usando una lingua differente. Tuttavia, c’è il bisogno di farlo. Chi sta a stretto contatto con le altre persone sa bene che l’elemento della condivisione è fondamentale, sia che si tratti di spartire un pasto con qualcuno, sia di passare il proprio tempo con la persona amata, sia di far conoscere il proprio punto di vista o, ancora, nel momento in cui un paziente chiede un consulto medico o, infine nel momento in cui un venditore illustra al cliente i prodotti in vendita.
In qualunque aspetto della nostra vita la condivisione è obbligatoria.

Potremmo definirla “trasversale”, perché in grado di toccare ogni aspetto dell’agire umano e sociale, perché riguarda l’aspetto relazionale umano. Mettere in comune qualcosa di materiale o spirituale è un tentativo di farsi conoscere, ma anche di includere qualcun altro nel tuo modo. «Nessun uomo è un’isola» scrisse quasi quattrocento anni fa John Donne, ed all’estero il bisogno di condividere degli aspetti della propria vita è molto più forte e sentito.

Partire vuol dire “sradicarsi”, intrecciare nuovi legami e sforzarsi di mantenere quelli storici.
Talvolta può riuscire e talvolta no. Il motivo è che la condivisione non è tale senza la partecipazione l’accettazione da parte di chi cerchiamo di coinvolgere. Per esserci, il nostro interlocutore deve vivere la nostra medesima esperienza o, quanto meno, prestare ascolto al racconto di essa.

Penso alle tante telefonate che ho fatto ai parenti ed alle altre persone care.  Penso anche alla difficoltà che spesso ho avuto e continuo ad avere nel tentativo di raccontare le vicende esaltanti e meno esaltanti della mia vita.

Per ultimo nelle relazioni umane diventa fondamentale anche il giudizio su ciò che facciamo. In questo caso condividere significa “approvare” un comportamento o un pensiero . La condivisione sembra quindi mostrare tre aspetti interdipendenti: quello del “fare a metà”, quello del “partecipare” e quello del “ritenere giusto”. Un esempio lampante di questo triplo binario interpretativo è dato dai social networks dove miliardi di utenti condividono dei contenuti, i quali a loro volta possono essere approvati o meno da altri utenti. Quando questi tre elementi si combinano, la condivisione raggiunge la sua massima espressione. Se, in alcuni contesti l’elemento dell’approvazione può risultare non necessario, l’elemento della “partecipazione” o “empatia” è, invece, fondamentale. Senza di essa, la condivisione diventa un’esperienza priva di senso, una coabitazione forzata, guardata con disinteresse o, peggio, con diffidenza e, dunque non pienamente accettata.

Ognuno di noi desidera trasmettere un’emozione, un concetto, un’immagine, un parere e l’idea che non sia solamente “tollerata”, ma anche compresa. Seppur è indubbio che la condivisione possa risultare più congeniale laddove vi siano degli interessi o valori in comune, è anche vero che sia possibile individuare il canale comunicativo appropriato.

Durante i 5 mesi della mia esperienza di Volontario presso i campi profughi di Voenna Rampa e Ovcha Kupel (entrambi a Sofia, in Bulgaria), mi sono confrontato e scontrato con la realtà di un ambiente multietnico composto in prevalenza da Siriani, Curdi, Afghani, Iracheni. L’aspetto più difficile è dato proprio dall’individuazione del canale comunicativo adatto, superando l’imbarazzo iniziale tuo e degli altri che ti considerano un perfetto estraneo. Nel caso in questione la situazione di stallo può essere affrontata in vari modi. Dal più semplice sguardo, da una battuta nella lingua natia o da una determinata azione.

Nel momento in cui si riesce a trovare una sintonia nel linguaggio espressivo, allora la naturale diffidenza del nostro interlocutore viene messa da parte e le porte della condivisione saranno aperte.

Qualche riga fa ho riportato la frase “nessun uomo è un’isola”. Il significato che do ad essa è che l’uomo stesso è l’oggetto della condivisione, è connesso alle altre persone. Nel caso del volontariato, ho messo di fronte agli occhi dei rifugiati il fatto che fossi uno straniero esattamente come loro. Ho raccontato loro le mie avventure e le mie disavventure. Facendo ciò, ho condiviso me stesso con loro, facendoli sentire un po’ meno “soli” ed un po’ più “compresi”. Ciò ha spinto loro a condividere a loro volta le loro esperienze, creando di fatto un circolo della condivisione.
Questo è il mio punto di osservazione sulla condivisione.

Un’epoca come la nostra, con un livello tecnologico senza eguali ci sta permettendo di raccogliere accumulare una serie di esperienze che saranno utili non solo a noi, ma forse anche a chi ci sta vicino, e che per questo potranno e dovranno essere condivise. In altri casi la condivisione potrà essere fine a se stessa, cioè fatta per il solo piacere di includere gli altri in alcune di quelle che sono le nostre passioni, aspirazioni ed azioni.

In conclusione tutto può essere condiviso?

Forse non tutto.

Ci saranno sempre degli aspetti che desidereremo tenere solamente per noi. Ci saranno delle persone con le quali sentiremo una maggiore affinità rispetto ad altre, ma fondamentalmente il bisogno di condividere qualcosa con qualcuno sarà una costante della nostra vita.

D’altronde, come diceva il buon Seneca: «Nessun bene senza un compagno ci dà gioia.»