Ed è lunedì!

Ecco a voi il secondo articolo del mese sul tema dell’accoglienza! 

Chi ci scrive è Sara Caruso,  psicologa e formatrice di professione, progettista e responsabile per l’organizzazione culturale della Casa del Quartiere di San Salvario di Torino  per scelta!   A parte tutte queste cose riesce anche a sopportarci, supportarci ed offrirci il caffè!  

Il testo a noi piace tantissimo (beh, anche lei!!), commentate per farci sapere la vostra opinione!

Grazie ancora a Sara per questo dono, buona lettura a tutti voi! 


Accoglienza. Cosa ti viene in mente?


Accoglienza. Cosa ti viene in mente? Quotidianità, improvvisazione, morbidezza, linguaggi, professionalità

E non penso che questi termini siano in contraddizione, o almeno non lo sono nel mio lavoro. Io lavoro in un posto che si chiama Casa, che accoglie perché ce l’ha nel nome, nella storia, nell’impegno che ci mette, anche quando quella porta sempre aperta non vedresti l’ora di chiuderla (a volte lo facciamo, confesso).

E’ quotidiana perché non ha nulla di straordinario: non è l’accoglienza dei giorni di festa, non è la tavola apparecchiata con “il servizio buono”. E’ la tovaglia di tutti i giorni, la pasta col sugo, lava tu i piatti che io scappo via. Lo è perché accogliere vuol dire fare spazio a chi ha bisogno in quel preciso momento di una sedia su cui fermarsi, e a volte solo di questo. Altre volte di un’informazione, che poi ne chiama un’altra. A volte di un sostegno, puntuale e urgente, come la fame. Altre volte è ancora più urgente. Non ho un letto, ho perso il lavoro, non capisco cosa c’è scritto sulla raccomandata, non ho un passeggino per il mio bambino. Per tutti ci va comunque una sedia, e un caffè.

E’ improvvisata, perché non possiamo essere esperti di tutto. E visto che la porta è aperta, può, e deve (è il mio lavoro) entrare chiunque. E chiunque porta una storia unica, la propria, che non è mai pura (donna, giovane, straniero, matto, solo), ma sempre diversa e un po’ complicata. E tu provi a leggere, informarti, fare rete, ma alla fine ti resta la tua intelligenza che ti fa salterellare tra le informazioni di cui disponi, ti fa ascoltare con attenzione, ti orienta nei ricordi di storie passate.

E’ morbida, di questo sono sicura. E’ un cuscino, è un paraspigoli, è una coperta, è una caramella. Non si accoglie se non si fa sentire l’altro a proprio agio, se non lo si guarda con tenerezza, anche se arriva al momento sbagliato, anche se non capisci bene cosa dice. La cosa più morbida che uno può fare secondo me è sorridere.  Certo non siamo hostess, ma loro quello lo sanno fare. Nessuno si è mai sentito fuori posto quando sale su un aereo, sembra sempre che aspettino proprio te. Accogli se fai sentire l’altro atteso, proprio lui.

Parla attraverso linguaggi multipli. Gli occhi, il corpo, il tono della voce, l’inglese che hai imparato alle medie, le linguacce ai bambini. E attraverso parole semplici.

E’ professionale. Non si accoglie a caso, accoglienza e sciatteria non vanno d’accordo.  Si impara a farlo, giorno dopo giorno. Si da del lei, almeno nella postura dell’ascolto. Si da la mano. Si cercano tutte le soluzioni possibili. Si usa la competenza emotiva che si affina con l’esperienza. Si impara dai colleghi più esperti.