Il secondo articolo sul tema della bellezza ci è stato regalato da Maura Croce, educatrice professionale presso il Centro diurno “La rugiada” di Cirié ed esperta in metodologia autobiografica !

Maura si è domandata se la sua presentazione fosse troppo sintetica: ” se può bastare…altrimenti vedo di aggiungere qualcosa !” …ma noi abbiamo letto tra le righe del suo articolo molta più completezza e chiarezza di quanto riuscirebbe a fare una nostra presentazione ! 

Raccontandoci di un laboratorio sulla bellezza che ha permesso ad un gruppo di donne di parlarsi e occuparsi della propria bellezza, incontrarsi ed  abbracciarsi nello specchio …Maura ci  racconta infatti anche di sè : del suo essere una professionista concreta e sognante, riflessiva e pragmatica e del suo rapporto con la bellezza!

Vi lasciamo alla lettura del suo contributo e ringraziamo Maura per averci raccontato come trovare la bellezza guardandoci allo specchio! 


BELLEZZA: PAROLA ALLO SPECCHIO

Specchio fatato, in questo castello, hai forse visto aspetto più bello?”

“Il tuo aspetto qui di tutte è il più bello, ma Biancaneve dalla chioma corvina è molto più bella della Regina!”

 

Nel suo specchio la regina cercava solo di essere rassicurata; voleva sentirsi dire che era la più bella, più bella di ogni altra donna presente nel suo castello, nemmeno nel reame, solo nel suo castello. E nonostante quello davanti a lei fosse lo specchio delle sue brame, cioè quello dei suoi desideri, neppure questo le permise di evitare la disfatta; persino lo specchio che, essendo proprio quello dei suoi desideri, non avrebbe dovuto fare altro che rassicurarla, la deluse, cedendo lo scettro di più bella all’ignara Biancaneve.

Inizia dalle fiabe che leggiamo quando siamo ancora bambine il mettere le donne davanti ad una realtà: non ha importanza quanto sia grande il reame che avremo costruito, se possederemo un castello, se un cacciatore sarà disposto a eseguire i nostri ordini, arriverà comunque il momento per ogni donna in cui avrà bisogno dell’altro, di avere un confronto rassicurante con lui, che sia una persona in carne ossa o l’immagine riflessa nello specchio delle nostre brame e paure.

Sentiamo la necessità di rassicurazioni anche quando è la nostra immagine quella in discussione, il corpo che portiamo tutti i giorni nel mondo e che diventa terreno di interrelazioni, il nostro primo biglietto da visita nelle relazioni con l’altro.

Quando ero una ragazzina, lo specchio delle mie brame erano le amiche; quando qualche ragazzo chiedeva loro: “Ma com’è la tua amica?”. Loro rispondevano: “Simpatica”.

La parola che appariva subitanea alla mente del giovanotto? “Bruttina”.

Le amiche che più mi volevano bene azzardavano un “intelligente” ma questo, almeno a quell’età, non migliorava di certo la situazione; gli esiti della presentazione, vi lascio immaginare, non erano dei migliori. Avrei forse dovuto scegliere delle amiche più esperte di marketing e vendite ma, in fondo, dicevano la verità: “simpatica” era l’aggettivo che mi si addiceva, sicuramente molto più di “bella”.

Con il passare degli anni la situazione è cambiata. Non perché io sia diventata più bella. Ancora le mie forme sono sempre più arrotondate che spigolose, la mia altezza continua a incentivare l’Ikea nella produzione di scalette a tre scalini per raggiungere i pensili della cucina, e di me continuano a dire “simpatica”, aggiungendo a volte “intelligente” o “ironica”. Ma lo specchio di me stessa, ora, sono io; ho ancora persone a cui mi rivolgo ma non ho più la necessità di conferme, ma il bisogno di confronto e, questo, ha cambiato un po’ il rapporto con lo specchio delle mie brame.

Mi hanno proposto di scrivere questo articolo soprattutto perché in questi anni, con alcune colleghe, ho condotto un laboratorio che potremmo descrivere come di cura del sé; per qualche settimana, con alcune donne che frequentano il Centro diurno per persone disabili, presso il quale lavoro, andavamo nei locali di un istituto professionale della nostra cittadina per aiutare le future estetiste ed acconciatrici ad esercitarsi nella loro professione. Al termine di trucco e parrucco, ci si fermava un momento per scrivere, attraverso alcuni dispositivi tipici della metodologia autobiografica, di quello che accade quando siamo davanti allo specchio e cosa vuol dire avere cura di sé.

Questo laboratorio mette a dialogo la scrittura e l’estetica ovvero una mia passione ed una mia criticità; forse anche questo connubio l’ha reso per me un’esperienza importante di crescita.

La scrittura è per me un elemento fondamentale, un modo di dare ordine ai pensieri che mi percorrono, a volte talmente veloci che mi è necessario metterli nero su bianco, al di fuori di me, sulla carta, per poterli vedere veramente. Mentre quando viviamo un’esperienza questa è opaca, perché non ci rendiamo pienamente conto di quello che accade e del significato che diamo a questa, quando la scriviamo, l’atto stesso di narrarla ci permette la risignificazione dell’esperienza vissuta: anche per questo amo la scrittura. Il rapporto con l’estetica è invece per me più complesso; un aspetto fisico che non mi ha mai soddisfatto, una lontananza dai canoni estetici e di moda imperanti nella società, una diffidenza verso la femminilità e le pratiche a questa correlate. È un campo in cui mi trovo in difficoltà e doverlo approcciare in un’ottica professionale, e poterlo fare anche attraverso la scrittura, è stato fondamentale per me.

In una stanza mi sono trovata con quindici adolescenti, desiderose di diventare estetiste o parrucchiere e con una passione, evidente anche dal loro aspetto fisico, per le cure estetiche e per l’apparire; la cura di sé per loro era avere le sopracciglia sottili e ben arcuate, un corpo esile, il trucco impeccabile e i capelli lucenti.

Abbiamo unito a loro cinque donne che portano sul corpo i segni evidenti della loro disabilità fisica ed intellettiva; donne per cui la cura di sé è cura sanitaria, è terapie di riabilitazione, medicine, ricoveri, è igiene personale. Bellezza e disabilità sembrano due elementi che fanno fatica a trovare un terreno comune, non tanto per le persone con disabilità, che messe alla prova in un ambito inesplorato, hanno subito dimostrato un vivo interesse ed un piacere a vedersi allo specchio valorizzate nella loro bellezza estetica ed hanno continuato a ricercare, nella vita quotidiana, quel tipo di cura. È più la società che non riesce a vedere la bellezza in un corpo differente dalla norma, che ricorda visivamente la sofferenza delle storie di vita di ogni persona con disabilità, e che ritiene importante una salute vista come un’assenza di patologie e non tanto come uno stare bene al mondo con gli altri, accettando se stessi con i propri limiti ed anche la propria immagine con i suoi difetti.

Io ho visto la bellezza in quegli incontri.

L’ho vista in quelle giovani mani, lisce, senza una ruga e dalle unghie curate, che brandivano pinzette, creme, spazzole e mille altre arnesi, trepidanti perché per la prima volta alle prese con persone in carne e ossa. L’ho vista in quei gesti attenti e premurosi che davano lentamente vita ad un acconciatura semplice o dipingevano un viso, con i colori scelti insieme a noi.

L’ho vista nello sguardo vigile e accogliente dell’insegnante che indirizzava le giovani allieve e coglieva le loro esitazioni.

Ho visto la bellezza di quelle ragazze che dietro ad un aspetto fisico che sicuramente tendeva ad una certa uniformità di stile, manifestavano la loro unicità in qualche dettaglio dell’abbigliamento, o in uno sguardo diverso o in una movenza particolare.

Ho visto la bellezza nell’impegno ferreo, tramutato in mille tentativi sgraziati di salire su un lettino troppo alto per un corpo un po’ troppo robusto, di una delle donne da me accompagnate; l’ho vista nel sorriso delle educatrici, un po’ trafelate dopo lo sforzo, nel vederla sdraiata pronta a ricevere il suo massaggio viso. L’ho vista nelle mani che passavano e ripassavano tra i capelli appena acconciati, arruffandoli, nel tentativo di sentire il profumo del balsamo usato; l’ho vista nelle mani mostrate orgogliose per far vedere lo smalto scelto.

Ho visto la bellezza negli scritti fatti dalle partecipanti, nei timori espressi per quel corpo in trasformazione per l’età adolescenziale, segnata più di altre dal tema del cambiamento corporeo, e trascurato per la disabilità che ha piegato il corpo in alcuni suoi aspetti. L’ho vista nella difficoltà di iniziare a scrivere di sé, perché sembra sempre che non si abbia nulla da scrivere di importante su di sé e nei “ancora qualche minuto prof”, perché alla fine si trova sempre qualcosa da scrivere e non si vorrebbe smettere.

Volevo scrivere un articolo non banale; l’argomento bellezza è stato trattato da molti e con accenti diversi; avevo il timore di scadere nell’ovvio e quindi, prima di scriverlo, ho deciso di guardare allo specchio i miei dubbi e cercare un confronto. Ho deciso, quindi, di fare un giochino con alcune persone che conosco; persone che lavorano con me, amici, vecchi amori, qualche parente. Ho mandato loro un messaggio: “Giochino per un articolo che devo scrivere per un blog. In due parole raccontami un episodio in cui mi ricordi bella”.

Mia cognata: il matrimonio e le volte che sei venuta in ospedale a trovare mio figlio.

Mia sorella: una volta che siamo andate da un parrucchiere assieme e ti aveva fatto un taglio che ti rendeva bella.

Un mio collega: “Maura, donna, tette” aveva detto un tuo ragazzo del Centro vedendoti per la prima volta con un vestito, ma non ricordo la sequenza; eri forte il giorno del convegno sui siblings.

Una compagna della L.U.A.: ti ricordo bella quando seduta su una sedia di un bar in Toscana mi raccontavi della tua prima cotta, quando davanti a una finestra di un appartamento in Toscana guardavi il panorama, quando parlavi del corso sull’autobiografia, quando con quel tuo accento piemontese mi parlavi guardandomi negli occhi.

Una collega: tu sei bella…e quando trasformi in parole ciò che vedi e provi, dai forma alla tua bellezza.

Una compagna della L.U.A.: leggendo poesie, racconti autoironici, trasparenze sexy.

Il mio ex: c’è una foto che ti ho fatto in Giappone, quando siamo andati a visitare il castello dell’imperatore a Tokyo…nel giardino. Sei venuta molto bene in molte di quelle foto in realtà. Avevi rinnovato i capelli, perso qualche chilo, stavi molto bene… e giravi contenta per il giardino dell’imperatore tra bambù e aceri rossi.

Una collega: ogni volta che sorridi e sfoggi un nuovo monile io ti trovo proprio bella; collane o orecchini, scarpe col tacco o vestitini…e sorridi.

Diversi aspetti sono stati toccati. La bellezza di far mostra di un corpo proporzionato e curato. La bellezza di regalare un sorriso felice. La bellezza di poter notare una novità che spicca rispetto allo sfondo della normalità. La bellezza del raccontarsi mettendosi a nudo davanti ad una persona che non conosci. La bellezza di poter far vedere quello che sei attraverso le parole scritte o quello che fai attraverso la presentazione fatta ad un convegno.

Forse “bellezza” è una parola che se guardata allo specchio fa vedere tutto questo: elementi differenti che hanno in comune l’aspetto della relazione, perché la bellezza, pur essendo un esperienza personale, dice sempre di una relazione quella tra il soggetto che contempla e l’oggetto che è contemplato.

Maura Croce