Ed eccolo qui … il secondo articolo sul tema della bellezza!
Lasciamo che sia la collega che ce l’ha donato, Erica Zani, a presentarsi !
Siamo sicure che la lettura di questo suo contributo, la sua passione e il suo sguardo da “inguaribile sognatrice curiosa” faranno accendere una scintilla in voi, così come l’hanno accesa in noi!
Grazie Erica !
“Mi chiamo Erica e il mio lavoro è quello di fare da ponte tra le infinite possibilità.
Prendere per mano le persone e accompagnarle… insomma, questo è il mio modo di vivere la mia professione.
In realtà sono Assistente sociale, mediatrice familiare e dei conflitti interpersonali . Ho frequentato corsi di specializzazione in social e family coaching e mi sono avvicinata al mondo della sordità diventando assistente alla comunicazione specializzata in lingua dei segni.
Libera professionista, consulente sociale e familiare e coach.Operatrice nel settore dei richiedenti protezione internazionale. Ho spaziato e spazio in diverse realtà socio-educative che mi hanno consentito di maturare esperienze professionali in campo educativo, scolastico, criminologico- penitenziario, e delle dipendenze.
Sono socia fondatrice, presidente, consulente e performer dell’associazione di promozione sociale LISten che si occupa di integrazione tra persone sorde e udenti.
Libera ricercatrice, per passione, nel campo dell’antropologia sociale e culturale, in particolare per quanto riguarda il mondo della devianza ed usi e tradizioni sociali, culturali e culinarie dei diversi popoli, di culture e subculture.
Chissà che un giorno non troverò il coraggio di iscrivermi anche ad un corso di laurea specialistica in antropologia.
Inguaribile sognatrice curiosa.
Tutto ciò può far sembrare che faccio di tutto e un po’, senza mai veramente fare un granchè (e questo è un po’il mio cruccio)… in realtà l’idea di fermarmi da qualche parte non mi piace, perché tutto questo girovagare mi ha permesso di conoscere le molteplici sfumature di colore che dipingono la vita e l’animo di ognuno di noi. Insomma, il bianco e il nero non fanno per me e i contesti formali ancora meno. Cammino tra la gente e mi fermo quando qualcuno mi chiama, dove trovo qualcosa che mi attrae e qualche storia da condividere.
Se ti va, puoi seguire le mie “avventure sociali” sulla mia pagina facebook Prendi in mano la tua vita o sul sito ericazani.it
L’OPERATORE SOCIALE E’…
UN OPERATORE DELLA BELLEZZA CHE NON DEVE FAR SPEGNERE LA SCINTILLA
Quando si parla di bellezza si fa per lo più riferimento ad un concetto estetico. Chi lavora nel settore della bellezza in genere si occupa di capelli, make up o moda. E di base, chi non lavora nel mondo della “bellezza” parla di bellezza con connotazione negativa, come qualcosa di superficiale, di non abbastanza morale o scientifico.
Ma la bellezza è solo quella estetica? Io che sono un’operatrice sociale non mi occupo quindi di bellezza?
Cos’è la bellezza?
Bellezza non è solo fisico, vestito o colore dei capelli. Etimologicamente la parola bellezza è definita come: “la qualità capace di appagare l’animo attraverso i sensi, divenendo oggetto di meritata e degna contemplazione”. Pertanto la persona bella è quella persona che “costituisce oggetto o motivo di grande ammirazione e compiacimento”.
Posso quindi dire con orgoglio, che anche io lavoro con e per la bellezza, perché l’ammirazione per le persone che incontro, per la loro capacità di andare oltre ad ogni limite, per come si mettono in discussione, per come cadono e si rialzano, per come trasformano uno svantaggio in vantaggio, va oltre ogni cosa.
E io, proprio come una brava parrucchiera ci fa sembrare sempre bellissime, faccio il mio, anche se non tratto di capelli, ma tra le mie mani ho vite umane che evolvono e si trasformano ogni secondo.
Bellezza e ricerca della bellezza sono due concetti che mi accompagnano nel mio lavoro quotidiano e il giorno in cui non riuscirò più a scovare quella scintilla che fa luce nel buio, sarà il giorno in cui smetterò di fare l’operatrice sociale. Credo che lavorare nel sociale significhi saper cogliere il bello delle situazioni e delle persone che troviamo davanti a noi, indipendentemente dal contesto in cui lavoriamo, da quelli che sono i vissuti di quegli uomini e quelle donne. La bellezza è quella che abita oltre alle storie, ai limiti, agli errori, alla disabilità o ai reati. E il nostro compito è individuarla, tirarla fuori e fare in modo che la persona la riconosca e impari ad usarla e farla crescere. La bellezza deve essere punto di partenza e fine ultimo del nostro lavoro, anche nelle situazioni più difficili. E’ ciò che secondo me distingue il vedere la persona dal vedere il suo problema. Se pensiamo che quella persona lì non abbia bellezza da far emergere, allora non stiamo guardando l’essere umano, ma ci stiamo concentrando esclusivamente sul suo problema o sulla sua colpa. E questo è il più grande insegnamento che mi porto a casa dagli anni vissuti come operatrice e come volontaria in carcere. Nei laboratori non parlavamo mai del perché erano lì, ma del chi c’era lì. Non mi interessavano le loro storie di delinquenza, ma le loro emozioni e ciò che c’era nella loro anima. E da lì sono nate cose belle per davvero. Spettacoli teatrali, lampade, mostre, quadri, storie e giochi educativi per bambini, che prima di meravigliare me, hanno stupito proprio loro che le avevano realizzate in prima persona.
Da quando sono piccola frequento una comunità che si occupa del recupero di persone con problemi di dipendenza. Lì hanno un motto: “Se ti prenderai cura dell’ordine e della bellezza, l’ordine e la bellezza si prenderanno cura di te. Quindi affina l’occhio interiore perché è ciò che conta”.
Perché diciamolo, la bellezza fa bene, fa bene a chi la guarda, a chi aiuta a farla emergere, ma fa bene soprattutto a chi ne è il protagonista.
Pensate a uomini e donne dalle vite rotte e dalla speranza svanita. Persone con la morte negli occhi, che sia per una dose finita male, un viaggio attraverso il Mediterraneo in compagnia di chi non ha più visto la costa o una famiglia distrutta… che poco a poco si trasformano, perché vedono, giorno dopo giorno, che vale ancora la pena vivere, che infondo loro e la vita non fanno così schifo… e questo processo di cambiamento lo attivano solo grazie alla bellezza che piano piano incomincia a rifarsi più nitida. Che sia la bellezza di una ritrovata fiducia nelle proprie capacità, che sia un rapporto ristabilito con un genitore o che sia la bellezza di una carezza e un abbraccio a quel corpo che è sempre stato oggetto di violenza e mai di tenerezza…non importa. La bellezza è fatta di gesti semplici ed emozioni autentiche. Nostre e loro.
Per me, il mio lavoro è questo: andare in profondità dove il bello non è ancora stato intaccato e dove il negativo può diventare positivo. Non voglio dire che sia sempre facile, sempre possibile, sempre realizzabile. A volte si arriva lì vicino e si sfugge, altre volte la agguanti, la vivi, ma poi non basta… insomma, lavorare con le persone non è come applicare una regola matematica. Le variabili sono infinite, le strade hanno mille direzioni e una stessa cosa ha infinite sfaccettature diverse, ma alla base, secondo me, deve sempre esserci una profonda ed inesauribile fiducia nelle qualità delle persone con cui lavoriamo. E’ prendere un limite e renderlo una risorsa.
Se per esempio vi dicessi che per me la lingua dei segni, la lingua usata dalle persone sorde per comunicare, è bellezza, e che la capacità di usarla con maestria è una fortuna? mi prendereste per pazza?
E invece è ciò che credo ed è ciò per cui lavoro tutti i giorni con i ragazzi di LISten, l’associazione che si occupa di integrazione sociale tra persone sorde e udenti, che ho fondato qualche tempo fa.
Ci sono due modi di considerare la sordità e la LIS. Uno è considerarla una disabilità, che impedisce alle persone di comunicare efficacemente e talvolta le costringe ad esprimersi attraverso una lingua, anche un po’grottesca, che anzi, forse è meglio non usarla troppo, altrimenti come si fa a vivere nel mondo! (questa è la visione di molti udenti che non conoscono il mondo dei sordi).
Poi c’è l’altro modo di considerare la sordità, ed è il modo in cui è considerata dalla maggior parte dei sordi stessi : DEAFHOOD. Identità sorda. Essere sordo non è essere disabile ma appartenere ad una vera e propria minoranza culturale, con una sua storia, con le sue regole, modi di fare e modi di dire e con una sua lingua: la Lingua dei Segni. E la chiamo Lingua non a caso, perché ogni paese ha la sua lingua dei segni e ogni lingua dei segni ha una sua grammatica, un suo lessico ed una struttura precisa e definita, con cheremi al posto dei fonemi. Al pari di tutte le altre lingue orali. E con la LIS si può dire e fare qualunque cosa.
Ecco, io appoggio decisamente questa seconda visione della sordità. E se solo si guardasse oltre alla disabilità si scoprirebbe un mondo. Addirittura un’altra cultura, sconosciuta ai più.
E allora io questi sordi ho anche pensato di farli cantare. Perché mai non potrebbero cantare o sentire le canzoni?
I sordi, che si chiamano proprio sordi, con orgoglio e dignità e supportati da una Legge del 2006, quindi basta con il politically correct del “non udenti” “audiolesi” ecc.. dicevo, i sordi possono anche sentire la musica e cantare. Ok è un modo di sentire diverso, che non passa attraverso il canale uditivo, ma la musica viene “sentita” attraverso le vibrazioni che il corpo percepisce e trasmette in sensazioni, decodificandole. Ciò che invece i sordi non possono percepire è la voce del cantante e quindi il testo della canzone. Così, ho cercato di dare mani a quelle voci e ho iniziato a tradurre in lingua dei segni i testi delle canzoni. Ho capito che quella lingua si sposava benissimo con la danza, e che attraverso il movimento del corpo, l’ampiezza della gestualità del segnato, la forza del segnato e le espressioni del viso, si poteva rendere in segni anche l’intensità vocale del cantante stesso e le emozioni che con il suo canto vuole trasmettere. Gli alti e i bassi, la metrica e il tempo della canzone. Tutto poteva essere trasformato in LIS. Cantare si poteva!
Ho osservato chi già l’aveva fatto prima di me e ho cercato di carpirne la magia e la metodologia. Poi ho pensato che anche i sordi stessi potessero farlo attraverso un testo scritto e un karaoke che dettasse loro il tempo e gli attacchi. Et voilà!
Quello che è lo svantaggio di una disabilità, un limite sensoriale (sociale e relazionale) importante, ed un mezzo di comunicazione che nasce dalla disabilità stessa, diventa invece bellezza. Un’arte performativa vera e propria che pochi conoscono e sanno fare, che scaturisce in chi osserva incredibile fascino, rendendo bello ed invidiabile ciò che invece comunemente viene considerato un limite. Sono mani che danzano nell’aria e riempiono uno spazio con significati profondi che vengono da dentro. E’ la musica di chi sente le emozioni prima che i suoni.
E la bellezza genera altra bellezza.
Vedere i ragazzi sordi cantare canzoni che mai udiranno ma che sentono con i loro occhi e con la loro anima. Oppure vedere i ragazzi del centro d’accoglienza in cui lavoro rimanere rapiti davanti a questi video, così anche loro provano a cantare in LIS, senza sapere cosa stanno dicendo, ma solo perchè gli piace. Proprio loro, che nel loro Paese erano abituati a considerare “maledetto” chi aveva una disabilità, ora ne rimangono meravigliati, grazie alla trasformazione del “problema” in qualcosa di bello… Eccola lì quella bellezza che ogni operatore sociale deve tirare fuori da chi incontra. Eccolo il senso più profondo del mio lavoro: trasformare un limite in opportunità e fare da ponte in questo passaggio. Lavorare affinchè le persone possano sentirsi orgogliose di se stesse così come sono, lavorare sulla loro autostima e sulla loro autonomia; perché i cambiamenti, le difficoltà e i limiti possono diventare invece il punto di forza da cui partire e perché no, una risorsa sociale ed economica .
Se è vero il popolar pensiero che “ciò che è bello è probabilmente giusto” allora riuscendo a dimostrare che “la bellezza sta nelle differenze e non nelle similitudini”, forse, si potrà arrivare ad un cambiamento possibile e avremo molti meno pregiudizi e molte più azioni concrete.
Teniamo accesa la scintilla della bellezza.
Dai, vi lascio un pezzettino scritto e filmato qualche mese fa, che unisce due dei miei mondi e vuole essere un esempio di quello che intendo con “rispondere alla cattiveria con la bellezza”.
Buona visione!
https://ericazani.it/blu-in-lis/
Erica
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