Terzo appuntamento con il tema dell’apprendimento!

Chi ci dona i suoi pensieri è Silvia Botta, assistente sociale presso il Ministero della Giustizia, formatore ed eccezionale supervisore, una di noi ha avuto la fortuna di incontrarla come collega ed ha appreso da lei l’essenza di molti aspetti della nostra professione!

Fatevi trasportare nel personale racconto di un percorso che vede coinvolti il supervisore, il tirocinante, l’apprendimento .. ma non solo!

Mettetevi comodi e buona lettura!

 

Da molti anni, nell’ambito della mia professione di assistente sociale, mi viene richiesto di seguire giovani studenti del corso di laurea in servizio sociale, come tirocinanti all’interno dell’ente in cui lavoro. Ogni volta accetto con entusiasmo; lo facevo anche prima, quando non era riconosciuto in alcun modo questo impegno e non erano attribuiti i crediti formativi per questo tipo di attività. Ricordo la prima volta, quando l’Università di Novara mi chiese se volevo seguire una tirocinante: mi sono sentita fiera di questo compito, nonostante la mia giovane età, abbastanza vicina a quella della studentessa, convinta dell’importanza del ruolo del referente supervisore nel percorso scolastico dell’assistente sociale e della costruzione del sé professionale. Fu un’esperienza estremamente arricchente per me come persona e come professionista e devo dire, senza retorica, che da quella volta ogni tirocinante che ho incontrato mi ha trasmesso molto dal punto di vista della relazione e ha contribuito a farmi cogliere aspetti della professione diversi e importanti.

Uno dei momenti più significativi è il momento del primo incontro, a cui segue l’accoglienza nel servizio, un luogo estraneo, spesso idealizzato, dove lavora altro personale, con delle dinamiche e degli equilibri propri. Il servizio accogliente ha una sua dimensione organizzativa, difficile da spiegare, ma soprattutto è determinante nell’accoglienza o meno degli studenti, che portano una ventata di “aria fresca”.

Naturalmente ciascun studente, con età diverse, contesti di appartenenza diversi, si è presentato al servizio, portando con sé la propria storia, le proprie aspettative, le proprie motivazioni che lo hanno portato a scegliere questo tipo di studi.

La voglia di incontrare l’altro, di sperimentarsi in prima persona con l’utenza sono caratteristiche comuni a quasi tutti gli studenti.

Il ruolo del supervisore del tirocinio che viene richiesto dall’università è quello di contribuire all’apprendimento attraverso l’esperienza. Lo studente arriva con un bagaglio di conoscenze teoriche, che deve utilizzare nella pratica operativa, partendo da un periodo osservativo, che comprende l’analisi della documentazione prima e poi l’affiancamento al supervisore durante l’esercizio della professione. Compito del supervisore è quello dunque di aiutare lo studente a entrare nel mondo dei servizi, con una chiave di lettura critica che gli viene fornita dalla formazione universitaria e aiutarlo a rielaborare l’esperienza, con la riflessione, le sedute di supervisione, il confronto continuo. Mi vengono anche in mente i lunghi viaggi in macchina per raggiungere la sede della casa circondariale, le strutture comunitarie e le case degli utenti. Durante questi viaggi molti tirocinanti ponevano le domande sulle storie delle persone che andavano a incontrare, quasi che la conoscenza completa della situazione li ponesse in una condizione di maggiore controllo, rispetto alla problematicità dei casi. Altri invece preferivano parlare di loro, perché si crea sempre una relazione, che riguarda due persone e che può andare oltre i ruoli.

Il supervisore coglie i tempi dello studente, il suo grado di apprendimento, la sua capacità di utilizzare le informazioni e da questo indirizza il percorso di tirocinio.

La presenza costante di un osservatore attento come il tirocinante, fa sì che il supervisore si senta responsabile di rendere chiaro e trasparente l’agire professionale. Molti interventi che spesso vengono svolti in maniera frettolosa e standardizzata, al momento che vengono spiegati allo studente, riacquistano la loro specificità e la persona a cui sono rivolti ridiventa finalmente unica, come dovrebbe essere. Allo stesso tempo è necessario presentare anche le problematiche che caratterizzano i servizi, senza però limitarsi al consueto e tipico atteggiamento di sconforto, ma in ottica di possibili ipotesi di soluzione.

Il tirocinante ha il diritto anche di sperimentarsi in prima persona, sia nella relazione con le persone, sia nella stesura di relazioni scritte e nell’utilizzo degli strumenti a disposizione del servizio. La possibilità di “vivere” l’esperienza in prima persona, consente allo studente di assumere in maniera graduale compiti e responsabilità. Nonostante la voglia di sperimentarsi, il tirocinante di solito vive queste prime esperienze con incertezza, con la paura di sbagliare, con il desiderio di trovare una soluzione al posto della persona. Egli porta con sé i propri valori, le sue conoscenze e le sue risorse e perché no, i suoi piccoli o grandi pregiudizi sul cosiddetto “diverso”, che poi diverso non è, ma soltanto non conosciuto. Il supervisore ha il compito di sostenere lo studente in questo percorso, attraverso la riflessione sui punti di forza e sulle criticità.

Anche la necessità di garantire alla comunità professionale la buona preparazione, dal punto di vista metodologico e deontologico, dei futuri professionisti assistenti sociali, è un grande onere per il supervisore. Acquista pertanto molto importanza la verifica, in collaborazione con il tutor dell’università, degli obiettivi formativi, in un’ottica dell’acquisizione graduale dell’autonomia dello studente.

Ma si può apprendere ad essere un assistente sociale competente ed in grado di inserirsi nella realtà dei servizi, che ad oggi assumono caratteristiche complesse e variegate? Si può trasmettere la passione per il proprio lavoro, dopo tanti anni di esercizio della professione?

Penso di sì per entrambe le domande. Credo che un supervisore attento riesca a trasmettere un po’ di sé e delle sue competenze professionale, nel rispetto dell’individualità dello studente, mettendosi continuamente in gioco, auto valutandosi, non dando mai per scontato né la semplice procedura né alcun tipo di relazione con l’altro. Se tale atteggiamento è vero viene percepito dallo studente, che, seppure con le proprie peculiarità, in chiave critica, riuscirà a cogliere i valori che caratterizzano l’agire degli assistenti sociali e che faranno parte della sua identità professionale, se sceglierà di diventare un professionista nel sociale. Non è detto, infatti, che tutti gli studenti svolgeranno il lavoro di assistente sociale; l’importante che l’esperienza di tirocinio possa essere utile per effettuare in futuro scelte consapevoli.

Ritengo tuttavia che ciò che può fare la differenza e contribuire a far sì che il percorso di tirocinio sia veramente efficace sia l’incontro unico tra i vari interlocutori ( l’università,lo studente,l’ente,il professionista, l’utenza), che condividono, seppure con ruoli diversi,per un periodo di tempo un’esperienza formativa reciproca e di crescita personale.