Lo sappiamo, vi avevamo detto di aver terminato gli articoli del mese di luglio, ma Irene Formento ci ha fatto un vero e propiro regalo, e quindi abbiamo deciso di finire in bellezza il mese tematico sulla sofferenza!

Irene è una bomba di energie, una testa rossa e riccia piena di idee brillanti, pensieri positivi e motivazione.

Incontrata da una di noi nel nostro cammino nei Servizi Sociali territoriali, Irene l’ha colpita da subito sia come coach che come assistente sociale per la sua capacità di raggiungere gli obbiettivi che si prefigge con tenacia senza sentirsi mai da meno e affrontare gli ostacoli con una tenacia invidiabile! Con lei ha condiviso una piccola avventura, legata all’autonomia e leggerla su Facebook spiccare il volo mi rende orgogliosa e piena di gioia!

La stessa gioia che le ha dato leggere la sua disponibilità a scrivere sul nostro blog, lei, che è da sempre un tipino deciso e con le idee chiare, ha accolto il nostro invito senza dubbi o ripensamenti,  ci racconta del suo rapporto con la sofferenza tirando in ballo il suo lato forte, la sua spinta propulsiva al miglioramento e all’emancipazione dai limiti, che se proprio non si possono eliminare si sbeffeggiano con le proprie piccole, costanti e inarrestabili conquiste!

Buona lettura!!

Se volete conoscere Irene anche voi, cliccate qui!

 

LA SOFFERENZA SOMMERSA E LE NUOVE CHANCE

 

La sofferenza: il lascito di un dolore fisico o emotivo. La paura dopo il tuono… L’eco assordante dopo un lungo urlo.

La sofferenza: quello stato che ti tiene a letto il giorno e ti toglie il sonno la notte.

 

Ho 25 anni e, devo ammetterlo, per iniziare a scrivere questa breve riflessione, ho cercato un po’ qua e un po’ là materiale sulla sofferenza. Non che non la abbia mai conosciuta, non che l’abbia mai sfiorata e sia stata parte di me. Credo di averla vissuta, di averla percepita, di averla incontrata nel mio cammino di vita, ma non credo di averla mai esplicitata, di non averne mai parlato e, per non doverla affrontare, di averla sempre mascherata. Quando si sta male, si soffre, si ha il bisogno di mischiare questo sentimento ad altro, come si fa in cucina quando un gusto è troppo forte: si mette un po’ di rabbia, un po’ di tristezza, un pizzico di rimpianti ed a volte qualche spruzzata di nostalgia, spesso il tutto coperto da un bel sorriso.

Per molti di noi questa miscellanea di sentimenti deve avere delle caratteristiche ben precise: amalgamata, così i sentimenti non sono più riconoscibili ed è più facile fingere di non riconoscerli; tascabile, deve potersi nascondere il prima possibile quando si incontra un’altro individuo, per evitare che emerga e si manifesti in tutta la sua potenza; solitaria perché non deve richiamare le sofferenze altrui.. se no poi si uniscono a quelle delle altre persone ed il tutto diviene incontrollabile.

 

Non so se per cultura o per carattere ma la sofferenza l’ho sempre tenuta per me, l’ho sempre vista come un sentimento da vivere sola, senza parlarne con i cari che mi circondano… è lì, più o meno in ogni persona, ma ognuno si difende dalla propria, non rischiando di tirare fuori tutto quello che ha dentro o, dall’altra parte, di venire a contatto con il malessere di qualcun altro. Non si rischia quasi mai di lasciare libero sfogo a questo sentimento perché potrebbe da un momento all’altro straripare; potrebbe impadronirsi dei nostri occhi ed annegarli nelle lacrime,  potrebbe conquistare la nostra bocca e dare vita ad un lungo racconto sincero e vulnerabile, che metta a nudo tutti i punti deboli del nostro corpo e della nostra mente. La sofferenza è il peso che si porta ogni giorno, è qualcosa con cui devi essere perennemente in equilibrio: una volta trovato l’esatto baricentro è troppo rischioso aggiungere o togliere peso, si rischia di non essere pronti a trovare un nuovo bilanciamento e bastano piccoli errori per cadere. Inoltre la sofferenza diventa come lo zaino per la schiena del camminatore: è un peso a cui si è abituati a tal punto da trovarlo confortevole, il tempo e la fatica hanno fatto si che le due superfici combacino perfettamente e   si compensano l’un l’altra.

A  volte mi chiedo se non  sarebbe meglio, una volta ogni tanto, lasciare da parte quel “tutto bene, grazie!” e mostrare questo sentimento al mondo, a chi  ci guarda, presentarlo con me… poi mi rispondo che no; è molto più semplice nasconderla ai più, proteggerla dagli sguardi curiosi, sottrarla da quelle chiacchiere sempre un po’ troppo indiscreta. Forse  è  un bene che questa massa di sentimenti informe sia così pudica, che si conceda solo alle persone più care, che si lasci accarezzare solo negli abbracci più profondi e si lasci osservare dagli sguardi più dolci.

Quando penso a come sarebbe la mia vita nella totale assenza di sofferenza penso che in quello zaino, tornando alla metafora, è il mio peso, ci sono dentro tutte le mie lacrime versate e tutte quelle che non sono uscite, ci sono le mie delusioni e tutte le mie sconfitte; è mio, racconta troppo di me e cambia con me, contiene e protegge parte del mio passato e forse anche del presente; è qualcosa che mette alla prova la mia capacità di resistenza fisica e mentale, mi ricorda il rischio ed il lato scuro delle cose. Certo, come a tutti, piacerebbe aver vissuto e vivere senza sofferenze ed auguro alle persone che amo di non soffrire, ma so che tutto ciò che mi ha fatto soffrire, sia esso dolore fisico o morale, mi ha portato fino a qui, mi ha forgiata e mi ha resa così come sono oggi.

Forse la sofferenza è inevitabilmente sofferta, sia  da parte di chi la vive che per chi gli sta vicino, ma mi piace pensare che non è inutile, non è un peso morto… è parte di me e del mio percorso. Non è la parte più luminosa, non è la più gioiosa, ma è parte della mia vita e mi ha portato ad essere sicuramente più forte e più preparata all’avvenire. Quasi come se fosse il nero che serve a far risplendere i colori; il silenzio prima della musica; le vesciche dopo aver conquistato la vetta: è nella gioia, è nel coraggio, è nella rinascita, è nella resilienza.

 

La mia sofferenza, con l’aiuto del tempo, ha operato come motore per molte delle gioie che ho vissuto: il mio corpo permanentemente acciaccato mi ha spinto a concentrarmi sulla fisioterapia e sulla cura del mantenimento fisico; il mio corpo inabile mi ha spinto a voler essere una sportiva; la morte di persone a me care mi ha spinto ad impegnarmi in  lotte sociali; il ricordo delle mie lacrime mi obbliga a sorridere ed a continuare a sperare. Tutti i malesseri non sono scomparsi, ma si sono trasformati da grande zavorra a terreno fertile, da zaino pesantissimo da portare su stanche spalle a recipiente copioso e portatile dove conservare i miei beni. Forse userò ciò che mi ha fatto male come scudo per affrontare il mio futuro… forse le ferite di oggi diverranno i calli di domani e mi permetteranno di affrontare tutte le mie sfide con più scioltezza e meno dolo re.

 

Ho 25 anni, forse non so ancora bene cosa sia la sofferenza, forse avrò il tempo e l’occasione di conoscerla ed affrontarla, ma ho 25 anni e per questo sono convinta che tutto si può affrontare, magari superare e trasformare in una nuova partenza.